Sole

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di Carlo Sironi
con Sandra Drzymalska, Claudio Segaluscio, Bruno Buzzi, Barbara Ronchi, Vitaliano Trevisan
genere: drammatico – durata: 102 minuti – Italia 2019

“Sole”, due solitudini che si avvicinano, due anime che sorgono.

Ermanno è un ragazzo che passa i suoi giorni fra slot machine e piccoli furti; Lena ha la sua stessa età, è appena arrivata dalla Polonia per vendere la bambina che porta in grembo e poter iniziare così una nuova vita. Ermanno deve fingere di essere il padre per permettere a suo zio e alla moglie, che non possono avere figli, di ottenere l’affidamento attraverso un’adozione tra parenti. Alla nascita di Sole, però, tutto cambia e tra i due ragazzi cresce un legame inatteso.


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APPROFONDIMENTO
Massimo Balsamo per anonimacinefili.it

Presentato in anteprima al Festival di Venezia 2019 nella sezione Orizzonti, Sole è certamente un’opera prima di alto livello. Reduce da alcuni interessanti cortometraggi, che hanno fornito lo spunto per la sceneggiatura del primo lungometraggio, Carlo Sironi ha diretto un film asciutto, essenziale e molto pacato. La sceneggiatura – firmata con Giulia Moriggi e Antonio Manca – è molto cruda: i due giovani protagonisti sono persone sole, estremamente sole, e le loro storie vengono raccontate quasi con tenerezza. Ci troviamo di fronte a ragazzi che non sono mai stati amati da nessuno, con un passato difficile e con un futuro incerto, ed una delle principali qualità di Sole è la capacità di non forzare alcun sentimento da parte dello spettatore, che viene coinvolto nel racconto con naturalezza e sobrietà.

Sole non è un film sulla maternità, si sofferma infatti soprattutto sulla genitorialità: Sironi ha provato a raccontare – attraverso un caso limite – un momento fondamentale e universale nella vita di due persone, ma diverso per tutti. Se Lena deve gestire una maternità surrogata dopo un periodo assolutamente turbolento, Ermanno deve fingere di essere padre di una neonata ed intraprende un percorso che lo porterà a trovare la propria identità. Il racconto di Sironi ricorda molto il primo Matteo Garrone, senza dimenticare i fratelli Dardenne. Zero ricercatezze stilistiche e linguistiche, una storia dura e cruda che colpisce e coinvolge lo spettatore senza dover fare ricorso a sensazionalismi.

Una scelta molto interessante è l’utilizzo del 4:3, sempre meno utilizzato in Italia ed in grado di fornire un tocco in più: grazie a questo formato Sironi riesce a porre l’accento sui suoi personaggi, sempre in primo piano grazie ad una “semplificazione” dell’inquadratura. La giovane Sandra Drzymalska conferma le sue grandi potenzialità, ma la vera sorpresa è Claudio Segaluscio, alla sua prima recitazione. La fotografia di Gergely Poharnok conferisce un quid in più, mentre il commento sonoro firmato da Teoniki Rożynek non brilla e, al contrario, rischia di risultare fuori luogo.