Happy end
di Michael Haneke
con Isabelle Huppert, Mathieu Kassovitz, Jean-Louis Trintignant, Fantine Harduin
genere: drammatico – durata: 110 minuti – Francia 2017
Il piccolo mondo isolato dei Laurent è secondo il regista Michael Haneke «L’istantanea di una famiglia borghese europea». Un film asciutto e duro come la tesi che lo sottende.
Siamo a Calais, in Francia, il film segue le vicende di una famiglia dell’alta borghesia. Il capo famiglia ha fondato un’azienda di cui ora sono a capo sua figlia e il nipote ribelle. I due dovranno risolvere dei problemi sorti dopo un incidente verificatosi sul posto di lavoro, che ha causato la morte di una persona. Nel frattempo il fratello della donna si risposa per la seconda volta e inizia ad avere problemi con la figlia avuta dal primo matrimonio che viene affidata al padre dopo che la madre viene ricoverata. Intorno a loro il Mondo che affronta ogni giorno altri tipi di problematiche.
BIGLIETTO SALA VIRTUALE: POSTO UNICO € 3,90
APPROFONDIMENTO
Pietro Masciullo per Sentieriselvaggi.it
Si parte con immagini in bassa definizione frutto di un misterioso smartphone e da una chat aperta che descrive azioni comuni ma già inquietanti, sfociate in gesti apparentemente comuni ma con conseguenze scioccanti. Poi si stacca sulla famiglia.
Siamo a Calais, in Francia, luogo simbolo di questo nuovo millennio, città di confine con uno dei più grandi centri d’accoglienza per migranti d’Europa. Il potere porta alla sopraffazione (evidentissimo il richiamo agli odierni flussi migratori come nuovo schiavismo), i nuovi onnipresenti device creano assuefazione e anestetisia delle percezioni (sottolineata con chirurgica nettezza dai display accesi su un mondo che si sbriciola sotto i nostri occhi), quindi le relazioni umane diventano sempre più funzionalizzate (sino a disporre con serenità della vita e della morte).
Una protratta e glaciale oggettificazione dello sguardo (ai personaggi non viene mai concessa una soggettiva, sono sempre guardati, spiati, violati dal cinema) che crea quello stato di perenne malessere così tipico del cinema di Haneke. Ma è veramente tutto qui? La pulsione di morte associata all’altissima borghesia europea, tra concerti di violino e feste di famiglia sfarzose, dove si concludono affari milionari per opere pubbliche fallimentari e dove il razzismo incipiente sgorga da ogni situazione… beh, sembra una metafora talmente tanto banale da risultare quasi stucchevole. Siamo alla caduta dell’impero romano, i sentimenti sono morti (figurarsi l’amour), i funny games sono di glaciale violenza (figurarsi se sono i più giovani a reiterali) e l’happy end è servito (in un ennesimo coitus interruptus con la morte).